Ci siamo! Finalmente è arrivata l’estate, luce fino a tardi, giornate estese con tempi diversi dal solito e poi , sole, mare, spiaggia, crema solare, cocktail freschi all’ombra.
L’estate non è solo mare, è anche relax magari a casa propria con gli amici, in giardino o sul terrazzo.
Io che sono sempre a caccia di curiosità, riflettendo sull’argomento mi sono chiesta come facessero in passato a resistere sotto il sole. All’epoca degli Egizi ad esempio, con un caldo esagerato, quando le tende e gli ombrelloni ancora non c’erano… Forse non uscivano proprio! Forse restavano rintanati in cantina?
Per rispondere a queste domande sono partita a fare qualche ricerca… ora vi racconto cosa ho scoperto!
Gli Egizi e le prime tende da sole
Antico egitto, siamo circa tra il 1000 e il 600 a.c. Qui, tra piramidi, faraoni, dune e distese infinite di sabbia troviamo i primissimi rudimenti di tende da sole.
Gli Egizi utilizzavano dei tappeti più che veri e propri tessuti d’arredamento. I manufatti intrecciati con fibre pesanti, venivano sospesi su porte e finestre per fornire ombra all’interno delle case e una sospirata tregua dal caldissimo sole africano.
Per migliaia di anni i tendalini sono stati un’accoglienza prominente e chiaramente funzionale alle strutture abitative, ma anche ai mercati o agli “edifici” commerciali.
Ma non è tutto! Gli allevatori, per non perdere il loro investimento e la loro più importante fonte di sostentamento, avevano bisogno di proteggere anche gli animali dal clima torrido. Troviamo proprio per questo le primissime tensostrutture fatte da tendoni antichi, utilizzate per fornire riparo al bestiame.
L’opulenza dell’Impero Romano e i velarium
Impero romano, tra il I secolo a.C. e il V secolo d.C., compaiono le prime coperture di tela per l’ombreggiamento di teatri, anfiteatri, circhi e stadi.
Quello che trovo interessante è che i romani riutilizzassero le vele navali dismesse (prime testimoniante di riciclo creativo?). Pensate che anche il Colosseo era provvisto di un suo velarium.
>> Il termine velarium introdotto da Vitruvio in epoca augustea,
dimostra chiaramente la provenienza dal mondo navale.
Importanti studi raccontano di monete, affreschi e bassorilievi nelle quali sono chiaramente visibili i velarium sia a Roma sia nella fiorente area campana, e di qui la loro progressiva diffusione a tutto l’Impero Romano, nella Magna Grecia e in Asia Minore.
Fu sicuramente l’esperienza sulle imbarcazioni a vela che permise ai Romani di acquisire le conoscenze necessarie per considerare i vantaggi apportati da una copertura da ombreggiamento trasformabile (apribile e chiudibile all’occorrenza).
Sembra che i teli fossero in cotone e sostenuti da cavi cerati per facilitare lo scorrimento nella struttura di supporto. Dall’osservazione di alcuni affreschi pare fosse composto da lembi di stoffa rettangolari sospesi tra due corde parallele che ne permettessero scorrimento e ripiegamento. Geniali!
Il sistema, di chiara derivazione navale consisteva in due ordini di funi, una primaria utilizzata per il dispiegamento del tessuto, l’altra secondaria per la sua messa in tensione.
Per esempio il grande anfiteatro di Pompei era costituito da due file di elementi in pietra (tasche) per l’alloggiamento di pali verticali in legno sui quali il velarium era sospeso.
Pompei non rappresenta l’unica applicazione dei velaria, sembra infatti che, ci sia un precedente sempre intorno al 70 a.c. ad opera di Quintus Catulus. Il comandante, per celebrare la vittoria della battaglia dei Campi Raudii, fece costruire un tempio dedicato alla Fortuna huiusce diei, nel quale furono utilizzate coperture tessili di lino.
Un’evoluzione interessante ci fu nei teatri costruiti in Gallia e nelle regioni del Nord Europa dove i classici velarium subirono una trasformazione (studi di user experience?). Venne infatti applicato un trattamento superficiale impermeabilizzante (a base cera o grasso) per resistere alle frequenti piogge.
Anche il Colosseo era provvisto di un suo velarium che a quel tempo era una magistrale opera di ingegneria.
Il quarto e ultimo livello della facciata (soprastante i tre ordini di arcate) era costituito da una parete piena nella quale erano presenti 240 mensole sporgenti di pietra. Sulle mensole erano stati predisposti fori quadrangolari per l’inserimento dei pali che, sporgendo sopra l’edificio, costituivano i sostegni di un incredibilmente immenso velarium.
Dalla sommità partiva un complesso sistema di corde, lungo le quali venivano aperte enormi ed ombreggianti “vele”, una sorta di struttura sospesa sull’arena che consentiva la copertura della cavea (insieme delle gradinate) e di parte dell’arena stessa.
La struttura era molto intelligente e studiata nel dettaglio, infatti presentava un anello al centro che favoriva l’aerazione dell’anfiteatro.
Non solo, il peso della struttura era controbilanciato ancorando altre funi su dei cippi di pietra, collocati a raggiera all’esterno della zona anulare pavimentata in travertino.
>>Alcuni cippi sono ancora visibili sui lati nord ed est, e il loro posizionamento equidistante fa presumere che in origine fossero in tutto ottanta.
Anfiteatri e teatri a parte, Plinio – scrittore e senatore romano, detto Plinio il Giovane – descrive drappi e stoffe ombreggianti anche nelle vie della città, nel foro e persino nelle corti private delle abitazioni.
Giulio Cesare, durante il suo mandato fece distendere lungo tutto il Foro Romano e la via Sacra fino al Campidoglio vele colorate ombreggianti per manifestare la potenza e ricchezza di Roma.
Nerone, invece fece distendere sul suo anfiteatro preziosi velarium in lino decorati in blu e stelle d’oro. In questo caso, la magnificenza della città veniva celebrata attraverso particolari decorazioni e stoffe.
Il declino delle tende da sole negli anni del dopoguerra
Veniamo ai giorni nostri: a partire dagli anni 50, in Italia come in altre parti del mondo, si riscontra un lento declino dell’uso delle tende da sole, il motivo?
Semplice, con l’avvento e diffusione del condizionamento d’aria, le tende da sole furono un po’ accantonate e forse passarono di moda.
Furono questi gli anni del miracolo economico: anni in cui l’Italia ridusse significativamente il divario che la separava dalla maggior parte dei paesi più industrializzati.
Lo sviluppo interessò soprattutto l’industria manifatturiera, che nel ’61 giunse a triplicare la sua produzione rispetto al periodo prebellico; un incremento particolarmente significativo si verificò nei settori siderurgico, meccanico e chimico, dove più ampio fu il rinnovamento degli impianti e delle tecnologie.
Proprio questa spinta verso la tecnologia e le maggiori possibilità delle famiglie, fecero via via preferire i primi condizionatori alle “vecchie” tende da sole. Come sempre però il boom economico prima corre, poi si ferma a riflettere.
La riscoperta delle tende da sole e le nuove tecnologie
Oggi, ovvero dall’inizio del ventesimo secolo, l’aumento dei costi e una nuova consapevolezza dell’importanza dell’efficienza energetica hanno portato alla rinascita in veste tecnologica delle tende da sole.
Perché se è vero che il condizionatore dentro casa rinfresca, è altrettanto vero che le tende da sole sono perfette per creare aree ombreggianti esterne e raffrescare l’ambiente interno delle pareti a cui sono addossate.
Una nuova generazione di prodotti presenta progressi tecnologici nei tessuti, nell’elettronica e nell’ingegneria. Non solo, ma questi prodotti fanno risparmiare sul consumo energetico e proteggono dai raggi ultravioletti dannosi (UV).
Un esempio di perfetta armonia tra tecnologia, design e funzionalità è la tenda da sole a bracci DUCK. Disegnata da Meneghello – Paolelli, grazie al suo design ironico e innovativo ha vinto (tra l’altro) il premio per il design Red Dot Award.
La tenda da sole Duck ci ha convinti per la sua personalità. 🙂
Trovo le linee arrotondate magiche, decisamente le mie preferite. Gli accorgimenti e le finiture rendono questa tenda da sole non solo bella, ma grazie al meccanismo automatico di apertura e chiusura della tenda, la fanno sembrare addirittura “intelligente”.
https://youtu.be/B6ddvJTj8cs
Il cassonetto si presenta tondo e compatto, in alluminio estruso verniciato a polveri che, a tenda chiusa, ripara il tessuto garantendone una maggior durata e una minore esposizione agli agenti atmosferici.
Ripercorrendo velocemente le ere che ci separano dall’inizio di questo post, direi che abbiamo fatto passi da gigante e chissà cosa penserebbero gli Egizi della soluzione Duck di Gibus!