L’altro giorno ho fatto un giro alla mostra a Venezia, Sguardo di donna, presso la Casa dei Tre Oci, come vi avevo promesso in un post di qualche giorno fa, sulle mostre a venezia.
La mostra rimarrà aperta fino all’11 Dicembre e ve la consiglio assolutamente. Partendo dall’allestimento splendido e sentito, ad opera di Antonio Marras, per finire con la selezione stessa di alcune fotografie tra le 250 esposte, scelte da Francesca Alfano Miglietti, vi voglio spiegare perchè secondo me vale la pena di spostarvi fino a Venezia, prendere un vaporetto fino alla Giudecca e investire 7 euro.
La grande Casa dai tre occhi…
Antonio Marras scrive nell’introduzione al catalogo: “E così nasce anche per l’allestimento di Sguardo di donna, dagli scarti e dai costumi e dagli oggetti abbandonati e dimenticati nei depositi della Fenice. Ogni ritaglio, ogni trama, ogni filo, quasi, proviene da tempi e persone diverse e, accostati per una precisa scelta, acquistano nuovo respiro, si caricano di significato e sprigionano energia.”
Lo spirito eclettico nascosto tra i pavimenti e le pareti della casa viene esaltato da stanze ricoperte di tappezzerie abbozzate, che rivelano uno spazio nuovo, una donna nuova e diversa. L’aria vissuta, l’alone d’antico racconta per prima cosa le vite trascorse, le storie che sono raffigurate tra le pareti. Per realizzare lo sfondo ideale per le opere fotografiche è stata usata l’idropittura Icaro, del Colorificio San Marco. Si tratta di un’idropittura a bassa emissione di composti volatili, superlavabile, che sfrutta la tecnologia EVOQUE™.
La prima stanza è piena di abiti, esposti, appesi a prendere aria dalle finestre lasciate aperte, con pareti bordeaux e prive di arredi, a contorno esclusivo delle opere. Al piano superiore incontriamo armadi, ante spalancate in modo disordinato, appendini; ed infine all’ultimo piano travi, tralicci ci fanno capire che siamo ormai in soffitta…il nostro viaggio è quasi terminato: “Nel progetto di allestimento per Sguardo di donna c’è la riflessione sul coraggio, sulla memoria e sullo spirito del tempo: una realtà composita, viva, che si apre alla bellezza, all’altro, all’orizzonte. […] E anche con questo progetto provo a dar vita a un ambiente motivato, in cui si possa essere coinvolti per sentirsi vivi.”
“Donne non si nasce, lo si diventa”, Simone De Beauvoir
Francesca Alfano Miglietti apre così l’esposizione della mostra, per dirci appunto che “Attraverso un discorso che affronta la biologia, la storia e la cultura, Simone de Beauvoir sostiene la possibilità per le donne di sottrarsi alla subordinazione maschile, liberandosi da quello che non deve essere considerato un destino inevitabile, per affermarsi come individui capaci di andare oltre la propria condizione. Molti anni sono trascorsi dalle teorizzazioni di Simone de Beauvoir e molte volte sono cambiati gli orizzonti e mutate le tensioni; il corpo e il genere sono stati i veicoli privilegiati che hanno introdotto un nuovo secolo e l’anatomia ha smesso di essere un destino.”
La mostra infatti dedica grande spazio alla condizione femminile di sudditanza rispetto alle leggi patriarcali che governano la società: l’identità di genere, la relazione, la violenza e la differenza sono i quattro concetti chiave che vengono espressi, stanza dopo stanza. Sguardo di donna è un titolo, ma anche un manifesto su tutto ciò.
Come lo sguardo terrorizzato raccontato da Chiara Samugheo ne “Le invasate di Galatina”, riguardante il fenomeno del tarantismo, un malessere assimilabile all’epilessia che colpiva giovani donne in età da marito che andavano quindi “esorcizzate” per farle tornare allo spirito consueto.
Come la cultura queer, le immagini di donne dall’aspetto androgino che non si adeguano allo stereotipo femminile della donna formosa, magra e dall’aspetto normato. Sono donne col seno piatto, con piercing, con capelli variopinti, quelle rappresentate da Bettina Rheims nel progetto “Gender studies”, che fa riferimento al mondo transgender, alla ricerca di un’identità propria, che non deve per forza ritrovarsi nel femminile o nel maschile. La Rheims ci propone un’alternativa, la scoperta che nemmeno il genere è bianco o nero.
Come le fiere bellezze di Diane Arbus, donne orgogliose del proprio corpo, in pose classiche, che mi ricordano personalmente delle supereroine un po’ borghesi.
Come Tracey Rose, Catherine Opie, Zanele Muholi, Donna Ferrato, Nan Goldin. Artiste che indagano il maschile e il femminile, la fluidità di genere e orientamento sessuale, la violenza e la diversità relazionale. Tutte loro rendono questa serie di fotografie una delle più belle mostre a Venezia che io abbia visto ultimamente. Offrono una visione contemporanea e critica della vita delle donne, che tanti si permettono di commentare: spazio allo sguardo delle dirette interessate.
E per finire Yoko Ono ci invita a sognare, con il progetto Dream, del 2009. E lo faremo, perchè come disse Bakunin: